venerdì 29 settembre 2017

Recensione di “Amami come sono” di Giulia Faggi

Le società di ogni epoca storica hanno cercato, spesso con successo, di frammentare la realtà in categorie conosciute, di dare un’etichetta a cose, fatti e persone, in modo da non lasciare “zone d’ombra”. Ciò che è ignoto, infatti, può far paura, perché non si sa in che modo gestirlo, come fronteggiarlo.

Nel corso del tempo anche la vita di quanti ci hanno preceduto e dei nostri contemporanei (e, probabilmente, anche di chi verrà dopo), è stata “incanalata” da regole, leggi, convenzioni, tradizioni, perfino da superstizioni.

Quasi ognuno di noi, ancor prima di nascere, fosse già “etichettato” e la sua esistenza camminasse su un sentiero prestabilito. Se da una parte avere, per esempio, delle tradizioni, una storia familiare, sociale, nazionale, ci aiuta a costruire parte di noi, a farci sentire l’appartenenza, le radici da cui possiamo trarre la linfa vitale per nutrire noi stessi, dall’altra non possiamo accettare che queste radici divengano catene d’acciaio.

Molti, soprattutto oggi, si ribellano alle definizioni, scegliendo di seguire il cuore e i sogni. Ciò non significa “avere la testa per aria”, oppure vivere di illusioni, di chimere e nemmeno ribellarsi in modo scomposto, sbagliato o magari perfino illecito.

Si tratta, in realtà, di una battaglia silenziosa con noi stessi; attraverso la ricerca del nostro io, della nostra identità noi ci affermiamo come individui, senza lasciare che giorni tutti uguali calpestino la speranza, i talenti, i desideri, la serenità, la volontà di trovare ciò che ci fa sorridere e ci fa stare bene.

Del resto è possibile incatenare i sentimenti e i sogni e ricondurli docilmente nello spazio angusto delle convenzioni? No. Non per lungo tempo, almeno, poiché la nostra anima rischierebbe di morire.

Nel romanzo “Amami come sono” (Pink Edizioni) la sociologa Giulia Faggi ci parla proprio dell’incontro/scontro fra passato e presente, tra ciò che siamo, che siamo stati e che saremo, delle scelte che si sovrappongono alle imposizioni, della libertà di essere noi stessi, di costruire la strada che vogliamo percorrere, di amare chi vogliamo.

La protagonista, una giovane brillante e con una carriera in ascesa a Zurigo, nel mondo dell’alta finanza, torna di malavoglia nella città natale, Todi, per occuparsi delle questioni burocratiche in seguito alla morte del padre. Il passato, per lei, è morto, dimenticato come quella città in cui ha troppi ricordi, molti dei quali infelici.

Nulla la lega più alle persone che ha conosciuto durante l’infanzia e che, ormai, le sono divenute estranee, quasi le avesse incontrate in un’altra vita. Ha perfino gettato il velo dell’oblio sul suo matrimonio, un’unione ormai finita e, per dirla tutta, neanche mai iniziata, una sorta di voragine oscura in cui il suo corpo e la sua mente stavano per essere inghiottite.

Una donna di quaranta anni che crede di aver ricominciato a vivere, sebbene senza più le illusioni e le speranze della gioventù appena sbocciata. In realtà il suo cuore è ancora assopito. Un incontro casuale, un momento fugace che non avrebbe dovuto ripetersi la portano, invece, a “ridiscutere se stessa”, a tornare verso quel passato a cui aveva chiuso la porta in faccia, facendo i conti con un nuovo amore e una nuova, bruciante passione sospesa tra desiderio e ragione.

Celeste, venti anni e occhi di una tonalità d’azzurro decisa, senza sfumature, è la persona che fa venire a galla le paure, l’istinto e i brandelli di memoria che la nostra protagonista credeva di avere rimosso. Il loro legame è speciale e non solo per la differenza d’età tra i due personaggi.

Celeste frequenta la Facoltà di Architettura a Perugia, ha un animo più spensierato e, nello stesso tempo, più determinato di quello della protagonista. Non conosce mezze misure, caratteristica tipica dei giovani che hanno tutta la vita davanti e una gran voglia di cambiare il mondo (per fortuna). Il suo modo di esprimersi, però, rivela un’indole più matura, capace di riflettere con grande profondità sul concetto di bellezza e sull’arte.

In effetti Celeste è l’opposto della protagonista di “Amami come sono”, più portata, invece, per il ragionamento logico, la razionalità, doti sviluppate al massimo anche grazie al lavoro in banca. Preferisco, tuttavia, non anticiparvi altro sul personaggio di Celeste e su questo bel romanzo privo di qualunque retorica, scritto con intensità, garbo e una delicatezza raffinata.

È giusto che siano i lettori a scoprire le vicende narrate in “Amami come sono” e lo sviluppo dei personaggi, pagina dopo pagina. Forse molti di noi si riconosceranno in qualche situazione descritta (per esempio sul provincialismo di certi (pre)giudizi, sul potere ambiguo delle chiacchiere che, ahimè, hanno troppo spesso la meglio sul silenzio, soprattutto oggi) ed è del tutto normale.

Ci dichiariamo liberi nel corpo e nel pensiero, ma lo siamo davvero? A proposito del potere delle parole è interessante notare il rapporto della protagonista con il padre, un professore di Storia e Filosofia per il quale la dialettica è tutto e ogni cosa può essere risolta parlando. La figura paterna che compare, ovviamente, nei flashback, sembra non voler prendere mai una posizione netta, lasciando che i discorsi scivolino in un relativismo talvolta irritante.

La protagonista, nella fase più critica della sua vita, l’adolescenza, risente di questo atteggiamento fino alla ribellione. Le parole sono importantissime, ma a volte non servono; basta un gesto, una carezza, uno sguardo, un silenzio nel momento giusto che vale più di tanti discorsi. Questo lo sappiamo quasi tutti. 

Molto spesso un abbraccio è tutto ciò di cui abbiamo bisogno (permettetemi, a tal proposito, una piccola citazione “pop” a cui ho pensato mentre leggevo il romanzo. La canzone di Giorgia “Oronero” dice: “Parlano di me che non mi amo davvero/Ma una carezza sul mio viso è il mio primo pensiero…ma una carezza sul mio viso la vorrei sul serio”. Ecco, credo che le vicende vissute dai personaggi in “Amami come sono” siano legate a filo doppio tanto al potere delle parole, quanto a quello dei gesti ricordati, vissuti, desiderati e negati.

Il romanzo è molto intimista e nella narrazione la parte della riflessione, delle descrizioni di momenti passati, ma anche presenti, ha la meglio su quella dei dialoghi. Una scelta stilistica d’impatto, che si accorda pienamente al tipo di storia raccontata.

Amami come sono” è un libro da non perdere, affronta temi importanti in modo chiaro e fluido, è un romanzo scritto anche per far riflettere, cosa di cui abbiamo un gran bisogno. Non ce ne sono moltissime di storie così ma, per fortuna, ci sono sempre più scrittori audaci, preparati e brillanti come Giulia Faggi a scriverle secondo un gusto e uno stile originali e personali.

Fidatevi, c’è bisogno anche di originalità e personalità oggi. Eccome.


Il Libro


Titolo: Amami come sono

Autore: Giulia Faggi

Casa editrice: Pink Edizioni

Pagine: 216

Data di pubblicazione: 15 agosto 2017

Prezzo: 4,99







Trama

Mi troncò le parole in bocca: «Non dire più nulla. Ho sbagliato!» e mi prese una mano portandosela alle labbra. «Ho sbagliato io». Quel gesto di tenerezza mi aveva ridato il respiro ma non mi liberava dal dubbio. L’amore non ha regole e non ha schemi.

Una delicatissima storia d’amore ricca di sentimenti intimi e potenti. Una coppia di innamorati. Tra di loro una notevole differenza d’età. Il lettore viene trasportato in un tempo assoluto; avvolto in un’atmosfera gentile, serena, variopinta, gaia, carica di rispetto e di libertà. Un romanzo che ci fa sognare e riflettere. Perché anche in una goccia d’acqua può esserci il mare. (Tratto dal sito della casa editrice)


L’autrice

Giulia Faggi, (sociologo) tende ad affermare l’esigenza di superare ogni prevaricazione o subordinazione tra i sessi anche nella relazione intima. Ha insegnato sociologia e pubblicato saggi accademici. (Tratto dal sito della casa editrice)


Per saperne di più

Link d’acquisto su Amazon. 

mercoledì 12 luglio 2017

Anteprima. "L'Ultima estate di Diana"

In questi giorni sto leggendo il libro di Antonio Caprarica, "L'ultima estate di Diana" (Sperling & Kupfer) e voglio presentarvelo non solo perché è un ottimo saggio, ma anche perché ritengo non ci sia un modo migliore per iniziare, su questo blog, un nuovo ciclo di articoli dedicato alle dinastie reali nel mondo.

Caprarica è un giornalista e scrittore di successo e di grande maestria. È riuscito a scrivere un libro di fatti sulla principessa del Galles, tralasciando pettegolezzi triti e ritriti e oscure teorie di complotto, destreggiandosi tra copertine patinate e la vera anima di questa donna che visse una vita privilegiata e sfortunata al tempo stesso.

Su Lady Diana, del resto, si è detto e scritto di tutto, una bibliografia sterminata e non sempre accurata e imparziale. Per capire davvero l'impatto di questa donna sui media (da lei amati e odiati, di cui si serviva e dai quali era sfruttata) e sulla storia della Gran Bretagna, la sua innata capacità di comunicare e la sua sofferenza di moglie e persona costantemente sotto i riflettori, c'era bisogno di una vera e propria indagine storica.

Antonio Caprarica l'ha compiuta e il risultato è un libro scorrevole, "autentico", capace di scavare tra i pregi e i difetti di un'icona del Novecento.


Il libro

Titolo: L'ultima estate di Diana

Autore: Antonio Caprarica

Casa editrice: Sperling & Kupfer

Pagine: 219

Prezzo: cartaceo 16,50; ebook 9,99

Anno di Pubblicazione: 2017









lunedì 10 luglio 2017

Santa Rosalia. Eremita controcorrente

Perché una rubrica dedicata alle sante? 

La religione ha un ruolo relativo in questa scelta. La serie di articoli che inizia oggi, con Santa Rosalia, si propone di scoprire le vite di donne che hanno intrapreso percorsi impervi, solitari, talvolta estremi, dimostrando il coraggio delle loro idee e delle loro scelte di vita. Esistenze in cui la religione ha avuto un ruolo fondamentale, è innegabile, ma che si possono guardare da altre prospettive. In queste frasi sta l’essenza della rubrica.

Non si tratta, infatti, di una specie di “celebrazione religiosa” di queste protagoniste della Storia degli uomini e della fede. Non è questa la sede giusta e, del resto, credere o meno è una scelta libera e individuale che nessuno ha il diritto di forzare. 

Le figure di cui parleremo sono state spesso oggetto di devozione popolare prima ancora che il processo di canonizzazione ufficiale avesse inizio. In molti casi i fatti si sono mescolati alle leggende, rendendo difficili, quando non impossibili, i tentativi di analisi scientifica, rafforzando, nello stesso tempo, la fede verso queste donne così combattive. 

La loro santità è stata riconosciuta dalla Chiesa, ma ciò non significa che su di loro sia stato detto e scritto tutto. Al contrario. I testi scritti da molte di loro possono (e devono) ancora essere studiati sotto nuovi punti di vista, per conoscere ancora meglio dei personaggi femminili che, prima ancora di essere sante, sono state donne, figlie del tempo in cui vissero e della loro cultura. 

L’altra domanda che viene naturale porsi è: perché iniziare proprio con Santa Rosalia? Il motivo più ovvio è nella prossimità della festa a lei dedicata, dal 10 al 15 luglio a Palermo, ma la ragione più profonda è nel temperamento di questa giovane che, come vedremo, compì una scelta che definire inusuale per la sua epoca è puro eufemismo.

venerdì 30 giugno 2017

Toussaint. Inganno a Mosca

Torno a scrivere sul blog, dopo un breve periodo di assenza, per segnalarvi l'uscita del mio secondo romanzo "Toussaint. Inganno a Mosca", edito da Genesis Publishing.

E' una detective story che ha per protagonista una indomita principessa araba, originaria di un emirato immaginario, Toussaint Mervat al-Kabir

Toussaint si è ribellata al volere di suo padre, riuscendo a costruirsi, da sola, un brillante futuro a Parigi, dove tutti la conoscono come "la detective delle donne". 

Questo romanzo, autoconclusivo, fa parte di una serie di avventure in cui la protagonista lotta per difendere i diritti delle donne nel mondo. 


Il libro 

Titolo: Toussaint. Inganno a Mosca 

Casa editrice: Genesis Publishing 

Pagine: 270 

Versioni: ebook: 3.99 euro; cartaceo: 11.60 euro 

Data di uscita: 30 giugno 2017 









Sinossi 

La principessa Toussaint Mervat al-Kabir ha abbandonato da anni la vita nel regno di Durat, incastonato tra le dune del deserto nella Penisola Araba. Si è ribellata a un matrimonio imposto e alla famiglia per inseguire un sogno di libertà che l’ha portata fino a Parigi, nel celebre quartiere di Montmartre. A costo di grandi sacrifici è diventata una giornalista, una scrittrice e una nota conduttrice televisiva impegnata in prima linea in favore dei diritti delle donne di tutto il mondo. I suoi reportage e le sue inchieste le hanno fatto guadagnare l’appellativo di “detective delle donne”. Nel suo nome c’è l’essenza araba e quella europea, quest’ultima bizzarro dono di una madre dal carattere non convenzionale. La vita di Toussaint Mervat, però, è costellata anche da grandi dolori, come la mancanza d’amore e la misteriosa morte del suo amato fratello, che le ha lasciato in eredità una nipote vivace e intelligente, la principessa Hanan. Quando Valentine, l’amica del cuore di sua nipote, scompare misteriosamente durante un viaggio a Mosca, forse caduta nella ragnatela della tratta delle bianche, Toussaint e Hanan partono alla volta della Russia, per risolvere l’intricato enigma. Scopriranno una crudele realtà, nascosta sotto la patina dorata della ricchezza e del lusso sfrenato. Inaspettatamente la vicenda di Valentine rappresenta per Toussaint la possibilità di fare un passo in più verso la soluzione del mistero che avvolge la fine di suo fratello e, forse, di trovare l’amore vero. Toussaint. Inganno a Mosca è il primo romanzo, autoconclusivo, della serie dedicata alla detective delle donne. 


Per saperne di più 

Pagina dedicata al romanzo, con promotional video, sul sito della Genesis Publishing.

lunedì 27 marzo 2017

Il caso “Parliamone sabato” tra luoghi comuni e censura

Foto tratta da "Il Tempo".
Ciò che è accaduto durante la trasmissione condotta da Paola Perego, “Parliamone sabato su Rai Uno è diventato un vero e proprio caso su cui si dibatte da giorni. Una questione costata il posto alla presentatrice e la chiusura del programma.
A nulla sono serviti la difesa della stessa signora Perego durante il programma “Le Iene”, l’incredulità e lo stupore che ha dimostrato dopo essere stata letteralmente travolta dalla tempesta mediatica. I giornali e il web si sono scatenati, inutile dirlo; del resto sarebbe stato strano il contrario.

Eppure dobbiamo stare molto attenti a dare giudizi, soprattutto in casi come questo. Avete presente il detto secondo il quale non è mai tutto bianco o tutto nero? Ecco, stavolta ci troviamo di fronte a una scala di grigi che vale la pena osservare bene. Come sempre, prima di esporre una teoria o un’opinione dovremmo vagliare i fatti e mostrare una certa cautela di fronte al modo in cui ci vengono raccontati.

Stando a quanto ci riferiscono i giornali, la Rai e la signora Perego potremmo cercare di inquadrare l’accaduto in base a tre parole chiave: qualità, censura e telecomando (ovvero consapevolezza). Vediamole una per una.

martedì 21 marzo 2017

Anteprima. "Aki il Bakeneko"

Oggi voglio segnalarvi un racconto illustrato dalla trama accattivante, scritto e disegnato da due autrici che meritano tutta la vostra attenzione.

"Aki il Bakeneko", di Stefania e Paola Siano, è una storia di mistero, ma anche di amicizia e ha il sapore del racconto di formazione, in cui il protagonista si trova ad affrontare un percorso di iniziazione per raggiungere la vera consapevolezza.

Scoprirete un Giappone antico, leggendario, in cui scoprire il senso del viaggio che porta verso un obiettivo, ma anche dentro se stessi.

Vi consiglio di leggerlo, è un self molto originale, una ventata di freschezza portata da due autrici che hanno messo in questa saga se stesse e che si sono messe in gioco con un fantasy diverso dal solito, oltre gli schemi e le mode del momento.


Il libro

Titolo: Aki il Bakeneko (vol.1)

Autore: Stefania Siano Illustratore: Paola Siano

Editore: Autopubblicato

Genere: Racconto, Fantasy Orientale

Prezzo Ebook: 1,49 euro

Prezzo Cartaceo: 8,84 euro

Pagine cartaceo: 86






Link di acquisto:





Sinossi

Aki è un bakeneko, un demone-gatto e si nutre di esseri umani, assumendone le sembianze. Un giorno si ritrova nel corpo di un ragazzino di nome Hiroshi. Trascinato suo malgrado nel mondo degli umani, Aki incontra un'amica di Hiroshi, la dolce e testarda Yoko, e per la prima volta assapora il calore di una famiglia e il valore dell'amicizia. Ma quanto può durare? In una Tokyo misteriosa, popolata di creature fantastiche e antichi misteri, Aki il Bakeneko si ritroverà a combattere per salvare una leggendaria pergamena, l'unico oggetto che può condurlo alla verità sull’oscura scomparsa di suo padre.


Estratto

“Esistono tantissimi tipi di yokai, alcuni talmente famosi da diventare protagonisti di romanzi, manga, film e poi ci sono quelli meno conosciuti, come me: un Bakeneko.
Mi chiamo Aki e mio padre mi ha insegnato tutto ciò che sapeva riguardo la nostra stirpe. Ben poco a dire il vero.
Cos’è un Bakeneko?
Inizialmente è un gatto che può diventare uno yokai quando raggiunge una notevole età, ma ci sono molti misteri che avvolgono la figura demoniaca.
Qual è il nostro scopo?
Quello che fa un gatto normale: vivere come meglio preferisce con o senza gli umani. Anche se siamo dei felini, noi Bakeneko odiamo il cibo per gatti che risulta quasi tossico, ma amiamo la carne fresca, succulenta e soprattutto viva. Ebbene sì, mangiamo persone e per divertirci e avvicinare altre prede assumiamo le fattezze umane di colui che divoriamo.”


Biografia

Stefania Siano nasce a Salerno il 18 ottobre del 1989. Fin da piccola vive in un mondo tutto suo colmo di fantasia, ma solo a quindici anni decide di portare i personaggi e le sue storie surreali su carta. Nel 2011 vince il suo primo concorso letterario con il racconto il Dott. A-Z, pubblicato in un’antologia fantasy edito dalla Limana Umanita. Da amante della lettura nel 2013 apre un blog letterario “Cricche Mentali di un’aspirante scrittrice”, collaborando con varie case editrici. Nel 2015 pubblica, con Lettere Animate Editore, l’opera di esordio “Dov’è Alice?” e nel 2017 autopubblica il primo racconto della serie fantasy orientale “Aki il Bakeneko”. Le illustrazioni e le copertine degli ultimi due lavori sono realizzate dall’artista Paola Siano.


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mercoledì 8 marzo 2017

Auguri a tutte le donne!

Immagine tratta dall'articolo

C'è un personaggio che vuol fare gli auguri di un felice 8 marzo a tutte le follower del blog. Il suo nome è Toussaint Mervat bint Mahmoud al-Kabir.

E' una donna, prima di tutto, ma anche una principessa araba che ha deciso di combattere in nome di tutte le donne, a costo di essere rinnegata dal Paese in cui ha aperto gli occhi per la prima volta. Un'anima limpida e forte che non accetta compromessi...

Presto leggerete la sua prima storia.

Grazie alla Genesis Publishing per avermi dato la possibilità di far conoscere il mio personaggio. 

Recensione. “Maria Montessori. La libertà dei bambini”

Ci sono donne che lottano per tutta la vita, donando all’umanità un contributo inestimabile, costato sacrifici, sofferenze e fallimenti. Donne che non temono la fatica, fisica e intellettuale, delle notti passate a studiare, a fare ricerche, a sperimentare.

Talvolta capita che la loro esistenza venga volontariamente messa in ombra da chi non accetta i loro progressi, ovvero il fatto che delle donne siano riuscite dove molti uomini hanno fallito.

Molti traguardi conquistati dalle nostre madri o nonne oggi ci sembrano scontati. Nessuno si scandalizza più di una donna medico, o di una scrittrice, o magari di una poetessa o un’astronauta. Eppure sappiamo tutti che non è sempre stato così e che il cammino da percorrere per raggiungere la completa emancipazione femminile non è ancora concluso.

Faremmo bene a non dimenticare mai i successi e gli errori, i progressi e gli ostacoli superati (e da superare), poiché l’oblio genera ignoranza e, di conseguenza, favorisce chi ha l’interesse a manipolarci.

L’altra metà del cielo ha sempre dovuto combattere per potersi esprimere liberamente in campi come la letteratura, l’arte, o la scienza.

"La Scienza è donna", la nuova rubrica che inizia da oggi, è dedicata proprio alle scienziate che non si sono date per vinte, ma hanno continuato a studiare e lavorare persino e soprattutto quando nessuno era dalla loro parte.  

È Maria Montessori a inaugurare questa serie di articoli e non è un caso che la scelta sia ricaduta proprio su di lei; è stata una grande esempio tanto per le donne quanto per gli uomini e, forse, non la ricordiamo mai abbastanza.

venerdì 27 gennaio 2017

Le madri della filosofia. Hannah Arendt

Una pensatrice che non voleva essere annoverata tra i filosofi, una donna capace di guardare in faccia il male e vederlo in tutta la sua banalità, spogliandolo del terrore che lo accompagna per analizzarlo con lucidità e notevole acume.

Un’intellettuale che visse il dramma delle persecuzioni naziste, portandone le cicatrici nell’anima, ma non perse mai la razionalità quasi “scientifica” per raccontarlo. Questa era Hannah Arendt (1906-1975). A lei è dedicato il post di oggi, in ricordo della Shoah e che inaugura anche la rubrica dedicata alle celebri filosofe della Storia.

Abbiamo detto che Hannah Arendt non amava essere definita una filosofa, poiché i suoi studi si focalizzarono sulla teoria politica (benché analizzata dal punto di vista filosofico). Nonostante ciò non è un paradosso, né una contraddizione inserirla in questa rubrica; l’intento della nuova serie di articoli, infatti, è quello di dare un senso più ampio al termine “filosofia”.

Hannah Arendt fu una “pensatrice”, ovvero una donna che riflette sul mondo, sulla Storia, sul passato e sul presente, sulla politica e sulla società valicando, quando necessario, i confini della filosofia stessa. Fu tutto questo e anche di più; il suo senso critico, la capacità di guardare oltre i pregiudizi, con cui ci fece conoscere la banalità del male, ne fa uno dei capisaldi del pensiero politico (e filosofico) della modernità.


La giovinezza

Hannah Arendt nacque a Linden, ma crebbe a Könisberg, città famosa per il suo passato storico e culturale. La famiglia della giovane aveva origini ebraiche, a causa delle quali divenne bersaglio della persecuzione nazista.

Hannah studiò filosofia a Marburgo, a Friburgo e a Heidelberg con Heidegger, Jaspers e Husserl. Sul suo legame intellettuale e sentimentale con Heidegger si è detto e scritto di tutto.

Di fatto il filosofo influenzò inevitabilmente il pensiero e la stessa esistenza della sua allieva. Il destino di tale rapporto, più volte interrotto e riannodato, difficile e controverso, fu deciso dalla guerra e dall’appoggio incondizionato di Heidegger al nazismo, collaborazione che la Arendt non capì e non giustificò mai.

A ventidue anni, nel 1928, la studiosa discusse la tesi di dottorato, incentrata sul concetto di amore nel pensiero di Sant’Agostino. La sua vita e quella della sua famiglia venne stravolta nel 1933, quando le leggi razziali spinsero Hannah, che non poteva accettare di osservare la Storia scorrerle davanti agli occhi senza poter fare nulla, a unirsi ad alcune organizzazioni sioniste clandestine di Berlino.

A quell’epoca era già sposata da quattro anni con Günther Stern, brillante filosofo ebreo fuggito a Parigi. La Gestapo, al corrente dell’attività politica della Arendt, considerata da tempo una sovversiva, la arrestò per liberarla dopo poco tempo, in apparenza senza particolari conseguenze.

Era evidente, però, che la Germania non fosse più un posto sicuro per lei. Forse la stessa detenzione era stata una sorta di avvertimento. Così Hannah decise di scappare a Parigi, consapevole del fatto che nessuno avrebbe potuto (e voluto) aiutarla.

Dal 1937, anno in cui le venne tolta la cittadinanza tedesca, al 1951, anno in cui ottenne quella statunitense la Arendt visse da apolide. Una persona senza patria, privata dell’identità e dei diritti, costretta a sopravvivere nella capitale francese in condizioni dure, circondata dal sospetto e dall’ombra dell’antisemitismo. Da donna forte qual era rifiutò di nascondersi, di mascherare le sue origini, di piegarsi di fronte a chi voleva spezzare la sua esistenza e la sua personalità.

Proprio a Parigi conobbe il giornalista tedesco Heinrich Blücher, che divenne il suo secondo marito nel 1940 e la introdusse negli ambienti intellettuali marxisti. Nello stesso anno Hannah venne internata nel campo di Gurs, costruito appositamente per rinchiudervi i rifugiati stranieri. Ottenuti i documenti per il rilascio, solo cinque settimane dopo, fu costretta a scappare di nuovo. Nel 1941 arrivò, con il marito, negli Stati Uniti.


La vita oltreoceano

A New York, dove si era stabilita, Hannah Arendt iniziò a lavorare per il giornale in lingua tedesca “Aufbau”, ovvero “Costruzione”, con cui collaboravano anche personaggi del calibro di Zweig, Mann ed Einstein.

Proprio attraverso gli articoli che vennero pubblicati su “Aufbau” possiamo conoscere il nucleo centrale del pensiero di questa straordinaria pensatrice. La Arendt, infatti, vi analizzò i fenomeni dei totalitarismi e dei nazionalismi, la vita degli apolidi, tema che la toccava personalmente e si dichiarò contraria alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina. Quest’ultima posizione la pose in aperto contrasto con la corrente maggioritaria del Sionismo.

Hannah, in effetti, riteneva che l’unico modo per rispettare i diritti di quanti già abitavano in Palestina e della stessa comunità ebraica che in quel luogo cercava una nuova vita, fosse fondare una federazione di Stati, o meglio, uno “Stato bi-nazionale” (Cristina Sanchez, “Hannah Arendt. La politica in tempi bui”, Hachette, 2015, pag.24).

Solo in questo modo sarebbe stata possibile la convivenza tra ebrei e arabi, ovvero nel rispetto dell’identità di ciascun popolo e dello “spazio territoriale” e, dunque, nazionale. Nel 1951 la studiosa pubblicò un’altra opera destinata a fare Storia, “Le origini del totalitarismo”, che le valse il riconoscimento internazionale e accademico.

Tra le pagine di questo libro troviamo il pensiero critico e lucido della Arendt, la necessità di
osservare, analizzare e capire (che non significa certo giustificare), di guardare in faccia la realtà senza nascondere (e nascondersi) niente. L’anno precedente Hannah era riuscita a tornare in Germania, constatando di persona le ferite che la guerra aveva lasciato nel Paese e che parevano insanabili.

La colpa di quanto accaduto, rifletté, non era imputabile alla comunità, bensì ai singoli individui, benché fosse innegabile il fatto che la stessa collettività, pur non senza eccezioni, era rimasta a guardare la ferocia senza intervenire per tentare di fermarla. Alla società, insomma, era ascrivibile l’errore del silenzio complice, anche se il fardello della responsabilità era individuale.

Grazie alle sue opere Hannah Arendt divenne un’intellettuale di spicco e si dedicò con sempre maggior interesse alla teoria politica e all’analisi del ruolo dei cittadini nello Stato. Nel 1961 un evento storico la costrinse a tornare indietro nel tempo, ritrovandosi faccia a faccia con un passato mai dimenticato, con ferite mai davvero chiuse.

Il New Yorker la inviò ad assistere al processo di Adolf Eichmann, il tenente colonnello nazista che, dopo la disfatta tedesca, era fuggito in Argentina, dove era stato rintracciato e arrestato dai servizi segreti israeliani. Da questo processo nacque “La banalità del male”, opera tanto importante quanto controversa per i contemporanei della Arendt.

Quest’ultima, infatti, non risparmiò critiche nei confronti di alcuni capi dei ghetti ebraici, accusati di aver obbedito con troppa sollecitudine agli ordini dei nazisti. Inoltre presentò Eichmann per ciò che era in realtà: un uomo banalmente “normale”, privo di particolare intelligenza e carisma, inetto, incapace di incutere il minimo timore in chi lo osservava. Insomma, non certo un “genio del male”. Tutt’altro.

L’opinione pubblica non si aspettava un ritratto del genere, ovvero un’immagine fin troppo vicina alla quotidianità; avrebbe, forse, preferito veder delineati i contorni di un’ombra malvagia, lontana, “diversa”. Invece il male è, la maggior parte delle volte, terribilmente vicino, può perfino passare inosservato per molto tempo, confuso tra le pieghe di giorni che sembrano tutti uguali. 

La Arendt, infine, sostenne che solo un tribunale internazionale avrebbe potuto giudicare Eichmann, in quanto le colpe di cui si era macchiato erano da annoverare tra i crimini contro l’umanità, non soltanto contro gli ebrei.

Molti non capirono fino in fondo l’importanza de “La banalità del male”, né la profondità e la razionalità del ragionamento dell’autrice, in grado di separare il bene dal male, di vedere oltre il dolore pur senza dimenticarlo. Hannah Arendt divenne il bersaglio di aspre critiche e di accese polemiche, ma non si fermò.

Era convinta che si potesse, anzi, si dovesse osservare e giudicare tanto il presente quanto il passato, formulando teorie nate sul terreno fertile di una mente libera e attenta. Per tutta la vita si interrogò sul ruolo politico dei cittadini, sui diritti degli uomini in generale e delle minoranze in particolare, sui concetti di politica e di potere, sull’espressione diretta di questi nella società e sul valore della democrazia. Continuò a scrivere e a tenere lezioni anche dopo la morte del marito, avvenuta nel 1970. Fino all’ultimo.

La sua ultima opera, rimasta incompiuta, è “La vita della mente” (1978). Hannah si chiese quale fosse il ruolo del pensiero nella politica, ma anche nell’esistenza umana. Pensare è compito di ognuno di noi; un diritto, ma anche un dovere e una responsabilità. La mancanza di pensiero porta al totale annichilimento e, di conseguenza, alla morte del bene.

Dobbiamo imparare a coltivare la nostra capacità di discernimento, porre continuamente domande, riflettere, avere dubbi, soprattutto nei confronti di “verità preconfezionate” che ci vengono presentate come uniche e immutabili.

Solo questo può salvarci dallo svilimento e dallo sgretolamento del pensiero e del mondo. Il pensiero di Hannah Arendt, basato sull’analisi diretta degli eventi, è attualissimo, un monito per i nostri tempi confusi e le nostre menti troppo spesso distratte dal nulla.


Bibliografia

Cristina Sanchez, “Hannah Arendt. La politica in tempi bui”, Hachette, 2015;

Boella Laura, “Hannah Arendt. Agire politicamente. Pensare politicamente”, Feltrinelli, 1995;

Arendt Hannah, “La banalità del male”, Feltrinelli, 2015;

Arendt Hannah, “Le origini del totalitarismo”, Einaudi, 2009.