giovedì 6 ottobre 2016

Donne nel mistero. La storia di Erzsébet Bàthory

Da oggi il blog si arricchisce di una nuova rubrica, “Donne nel Mistero”, dedicata alle essenze femminili sfuggenti, talvolta caratterizzate da un deciso, violento tratto negativo. Storie mai risolte, avvolte dal mistero, appunto, su cui ancora sussistono troppi dubbi; enigmi che, intrecciandosi, danno vita a un dedalo di ipotesi e possibilità.

Il primo appuntamento di questa rubrica ha per protagonista uno dei personaggi più malvagi della Storia, una donna perversa, sadica: l’assassina seriale Erzsébet Bàthory. Su di lei si è scritto e detto moltissimo, cercando di afferrare la vera natura di questa aristocratica dalla mente disturbata e trovare, così, un’origine alla sua leggenda nera.

Erzsébet viene definita “vampira” eppure, riflettendo meglio, la sua figura è più simile a quella della strega dedita alle arti magiche la quale, nell’immaginario collettivo, ha il potere di manipolare gli elementi e i nemici attraverso sortilegi e pozioni. La nobildonna, infatti, dedicò gran parte della sua vita alla magia e all’alchimia.


Nata nel 1560 in Ungheria, discendeva dalla nobile e antica stirpe dei Bàthory-Ecsed. Ricevette un’educazione degna del suo rango e a undici anni venne promessa in sposa al conte Ferenc Nàdasdy.

Già durante l’infanzia, però, la futura contessa sanguinaria mostrò chiari segni di squilibrio mentale attribuiti da molti studiosi ai matrimoni tra consanguinei, molto frequenti nella famiglia Bàthory.

A quindici anni Erzsèbet sposò Ferenc e andò a vivere nel castello di Čachtice, proprietà della famiglia Nàdasdy. La coppia ebbe cinque figli dopo ben dieci anni di matrimonio.

Ferenc era un giovane violento e spietato, che trascorreva lunghi periodi lontano dai suoi possedimenti, impegnato nelle continue battaglie contro i turchi. Tale lontananza favorì la scoperta e l’attuazione, da parte di Erzsébet, delle sue pericolose e perverse inclinazioni.


L’inizio dell’orrore

Non possiamo identificare il momento preciso in cui la contessa iniziò a costruire la leggenda nera che le sarebbe sopravvissuta (e che ha basi ben documentabili).

Erzsébet era già preda della follia, assuefatta alla violenza e alla brutalità; all’epoca, infatti, era piuttosto frequente che i nobili punissero ogni minima mancanza dei loro servitori con punizioni corporali, mirando ad assoggettarli incutendo timore (talvolta, poi, i castighi erano anche dettati dal capriccio e ciò rendeva la condizione dei sottoposti di gran lunga più difficile).

Si racconta che un giorno, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, la contessa infuriata cominciò a picchiare una delle cameriere, colpevole di non aver svolto bene il lavoro assegnatole; alcune gocce di sangue uscirono dal naso della malcapitata e caddero proprio sulla mano tesa di Erzsébet, che si pulì in fretta.

Il suo sguardo si fissò sulla pelle candida ed ella si convinse di vederla più bianca e lucente. Suppose, dunque, che il sangue fosse l’origine di tale “prodigio” e che possedesse proprietà di ringiovanimento. La signora di Čachtice era ossessionata dalla bellezza, dalla giovinezza e non sopportava che gli anni osassero passare sul suo volto aggraziato.

La sua mente malata concepì, così, un piano diabolico per procurarsi il sangue che le avrebbe consentito di prolungare la perfezione del corpo il più a lungo possibile, magari in eterno.

Tre malvagi e sadici servitori aiutarono Erzsébet a procurarsi “l’ingrediente” del suo elisir di giovinezza: il gobbo e buffone di corte Ujvàry Janos e le perfide Dorottya Szentes e Jo Illona.

Questi personaggi dall’inesistente moralità si occuparono di procacciare giovani vergini, attirate al castello con la promessa di un lavoro, al fine di torturarle, ucciderle e prelevare loro il sangue che sarebbe servito per i bagni “rigeneranti” della contessa.

Gli studiosi sostengono che la Bàthory abbia ucciso tra le cento e le trecento donne, ma il ritrovamento di un suo diario (sulla cui autenticità, però, ancora si dibatte) porterebbe la cifra a seicentocinquanta. Le torture che Erzsébet e i suoi scagnozzi inflissero alle povere ragazze cadute nel loro tranello furono terribili, indicibili. Spaventose.

I familiari della nobildonna, che nel frattempo aveva ereditato tutto il patrimonio della famiglia d’origine dopo la morte del fratello, non osarono o non riuscirono a impedire che il castello di Čachtice diventasse teatro di orge, delitti e feroci violenze.

Nel 1604 morì Ferenc e da quel momento la “Belva di Čachtice”, come la chiamava il popolo, poté dare libero sfogo alla sua pazzia, senza premurarsi più di celare le nefandezze commesse.


La resa dei conti

Ovunque si trovasse, Erzsébet aveva bisogno di sangue e non le importava che provenisse da contadine o da nobildonne.

La fine dell’orrore arrivò quando il conte György Thurzò, cugino della Bàthory e governatore di Presburgo, decise di far luce sui misteri che circondavano il tetro castello, istituendo una vera e propria inchiesta, sollecitato dall' imperatore Mattia II d’Ungheria.

György penetrò nel maniero, trovandosi davanti un raccapricciante spettacolo di corpi straziati, mutilati o in putrefazione. Il momento della resa dei conti era arrivato anche per Erzsébet; venne processata nel 1611 e dopo cinque giorni si giunse al verdetto definitivo per lei e per i suoi aiutanti.

La contessa Bàthory venne murata viva. Quando non fu più in grado di sopportare la condanna, si lasciò morire rifiutando il cibo. Era il 1614. Ujvàry Jànos fu decapitato e gettato sul rogo; Dorottya e Jò Ilona furono arse vive, ma a quest’ultima vennero prima strappate le dita.


Un complotto?

Nel corso dei secoli si fece strada l’ipotesi che Erzsébet Bàthory fosse innocente e la sanguinosa storia che la vide protagonista un complotto ordito da Mattia II e da Thurzò.

Ferenc Nàdasdy
La contessa era ricchissima; la morte del marito e del fratello la rese ancora più potente, unica proprietaria e amministratrice di una fortuna. A quanto pare, poi, aveva anche un carattere determinato e non consentiva a nessuno di darle suggerimenti sulla gestione del patrimonio.

Di certo Mattia II beneficiò della rovina della Bàthory, incamerandone i beni attraverso la confisca. Ciò, però, non basta a supporre che i delitti e le torture fossero una montatura; le prove delle crudeltà avvenute nel castello di Čachtice non possono essere cancellate.

Persino lo stemma personale della contessa incute terrore: un serpente che si morde la coda racchiude la mascella di un lupo su cui svettano tre zanne a formare la lettera E.

Questo disegno è, infine, sormontato da una mezzaluna e da una stella a cinque punte. La leggenda nera della contessa Erzsébet Bàthory è arrivata fino a noi, portandosi dietro una scia di sangue, sofferenza e follia difficile da dimenticare, in grado di far tremare anche i cuori più saldi.


Bibliografia

Simona Gervasone, “Erzsébet Bàthory. La contessa sanguinaria”, 0111 Edizioni, 2013;

Stefania Bonura, “Le 101 donne più malvagie della storia. Eroine nere, sciagurate, perdute e diaboliche”, Newton Compton, 2014;

Rebecca Johns, “La contessa nera”, Garzanti, 2011 (romanzo);

Monografia “I Misteri di Hera”, “Dracula. Eroe, mostro o alchimista?”, ed. Hera, maggio-giugno, 2004.

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