lunedì 26 maggio 2014

Intervista con Carla Marcone

Oggi ho il grande piacere di intervistare un'altra eccellente autrice, Carla Marcone, una donna determinata, dalle idee chiare, indipendente e "divinamente ribelle". 
Pochi giorni fa ho recensito il suo splendido romanzo, "Teresa e La Luna" (trovate qui la recensione) edito da Scrittura & Scritture
Non mi resta che ringraziare Carla per aver offerto, con le sue risposte, interessanti stimoli per riflettere su questioni attualissime e augurarvi buona lettura. 


1) Perché hai scelto di raccontare la storia di Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri?

Non l’ho scelta io. Ha scelto lei me. Chantal ed Eliana mi hanno proposto la storia. Lo racconto nella nota d’autore del libro. 


2) C’è qualcosa di te, del tuo carattere che si riflette nella protagonista del romanzo? 

Magari. Mi sarebbe piaciuto assomigliarle almeno un po’. Però, il suo dolore di madre ho potuto comprenderlo fino in fondo. L’ho sentito nella carne, nelle viscere, perché ho due ragazzi che sono la luce degli occhi miei. E Lina era la luce degli occhi di Teresa. 


3) Tu sei napoletana. In cosa è cambiata, se è cambiata, l’essenza della Napoli di ieri rispetto a quella di oggi? 

L’essenza di Napoli non è cambiata e non cambierà, neppure se scende il Padreterno dal cielo. Siamo un popolo variopinto, multietnico, multiculturale, che fa delle proprie strade palcoscenico, che improvvisa la tragicommedia della vita con attori che cambiano maschera e ruolo all’occorrenza. Napoli è mille culture, mille paure, è ’a voce de’ creature che saglie chianu chiano, e tu sai che nun si sulo. Qui, pure se ci provi, solo non rimani. Mai. 


4) Credi che una donna come Teresa possa essere un modello per le donne, e perché no anche gli uomini di oggi? 

Teresa è un modello per tutti. La storia l’hanno fatta sia le donne che gli uomini, ma l’hanno scritta gli uomini … 


5) Hai un “metodo” di scrittura particolare, un orario o un luogo ben precisi in cui ti dedichi solo alla scrittura? 

Scrivo sempre prima con la penna, è l’unica mia regola, o meglio abitudine. Per il resto sono indisciplinata, purtroppo. E sebbene i processi creativi non vogliano progetti, pretendono disciplina. E così per disciplinarmi scrivo tutti i giorni. Scrivere è un mestiere, e lo scrittore non è un invasato. L’ispirazione non scende dal cielo, ma dal sudore della fronte, anzi del cervello. 


6) Come sei arrivata a “Scrittura & Scritture”? 

Dalle Pagine Gialle. Non avevo ancora internet. Ricordo che da subito mi ispirarono fiducia. Per me era come affidargli un figlio. Sono stata fortunata, sono in gamba e serie. Ci credono. E’ importante incontrare chi ci crede. 


7) Pensi che la frase “Napoli è un paese ove occorre che qualcuno abbia un poco più di
Foto tratta dal sito di Scrittura & Scritture
coraggio affinché gli altri dopo lo imitino
” possa essere applicata all’Italia dei nostri giorni? 

Pensa che quella frase l’ho trovata su un giornale vecchio d’un secolo, spulciavo ovunque e qualunque cosa in quel periodo. Ne ho respirata di polvere di biblioteche ed emeroteche! E credo valga sempre, sì. Voglio crederci. 


8) Il tuo romanzo è ambientato proprio nella primissima fase di nascita dell’Italia moderna, eppure, per certi versi, il tempo sembra non essere passato. Secondo te i pregi e i difetti degli italiani sono sempre gli stessi o sono mutati? 

Dopo un secolo e mezzo, sono cambiate tante cose. Abbiamo vecchi pregi e nuovi difetti, ma anche nuovi pregi e vecchi difetti, ma qualcosa non c’è mai stata, ahinoi!, il popolo italiano. L’Italia c’è, ma gli italiani? 


9) Ogni pagina di “Teresa e La Luna” è permeata da un fiero senso di appartenenza a Napoli, lo stesso che io ho trovato in un’altra eccellente autrice, Maria Orsini Natale. Persino l’uso del dialetto ne è una prova. Ritieni che questo senso di appartenenza , ancora oggi, scavalchi in qualche modo quello nazionale? 

Mi piacerebbe risponderti di no. Mi piacerebbe sentirmi italiana. Tanti giovani ci hanno creduto, hanno combattuto e sono morti, requiescant in pace, per fare questo paese, ma invano. Ergo, mi discolpo, con sarcasmo ma mi discolpo, e ti rispondo che non trovando italiani in giro, devo accontentarmi d’essere napoletana. 


10) Qual è il tuo rapporto con i social network? Vedi dei pregi o dei difetti in questi strumenti? 

Come in ogni cosa: ogni eccesso è difetto. 


11) Un’ultima curiosità: puoi rivelarci qualcosa sul prossimo romanzo che stai scrivendo?

 Ho intrapreso una strada difficile. Sono due anni che lavoro su un’idea che ne ha più di dieci. Ci tengo talmente tanto a questa storia che i personaggi mi prendono la mano e decidono da sé. E tutte le volte che credo d’aver finito ricomincio da capo. Il lavoro peggiore per uno scrittore è : tagliare. Grazie. 


Grazie a te Carla!

giovedì 22 maggio 2014

Intervista ad Adriana Assini

La grande Adriana Assini, una delle mie autrici preferite, ha accettato di farsi intervistare da me sul suo libro “Un Sorso di Arsenico”, edito da Scrittura & Scritture e di cui ho parlato pochi giorni fa (trovate la recensione e i dati del libro qui). 
Grazie Adriana e grazie a tutto lo staff di Scrittura & Scritture! 
Godetevi l’intervista, perché ci sono molti spunti di riflessione e buona lettura! 


Per gentile concessione di Scrittura & Scritture
1) Come è nata l’ispirazione per scrivere un romanzo dedicato a Giulia Tofana? Perché hai scelto proprio lei? 

Giulia Tofana era la risposta a una definizione di un cruciverba estivo. Questo, il nostro primo incontro, a cui ne sono poi seguiti altri in biblioteca, dove ho potuto saperne un po' di più sul suo conto. Quando ho scoperto che vendeva il micidiale veleno di sua invenzione soltanto alle donne intenzionate a liberarsi di mariti violenti e ingombranti, ho deciso che sarebbe stata la protagonista del mio prossimo romanzo. 


2) Oltre che scrittrice sei anche una famosa acquerellista. Il processo creativo che ti spinge a inventare storie e a dipingere è lo stesso o diverge, visto che si tratta di due differenti linguaggi artistici? 

Le storie si raccontano in tanti modi. Io lo faccio sia con la penna che con il pennello. I miei romanzi sono storici o a sfondo storico, quindi - pur con tutte le libertà concesse ai narratori - attingono dal "vero". Quando invece dipingo, mi affido a un mondo popolato di riferimenti, evocazioni, figure legate alle fiabe, al mito, ai sogni e alle leggende. 


3) Ritieni che il personaggio di Giulia sia “non etichettabile”, come l’ho definita nella recensione, oppure credi possa essere un’antieroina? 

Non so chi fosse veramente Giulia Tofana. Quella che è uscita dalla mia penna sfugge alle facili classificazioni. In qualunque "casella" la si voglia ingabbiare, lei ci sta stretta. A mio avviso, proprio le sue contraddizioni sono la sua forza; l'ossimoro è la sua sostanza. Gesti, decisioni, affermazioni di Giulia non suggeriscono forse un'ingiusta coerenza, un "dilettoso male", taciti tumulti? 


4) Manfredi e Nicodemo sono due facce della stessa medaglia, opposti in tutto, persino innamorati in maniera “diversa” di Giulia. Come li definiresti? Ne preferisci uno? E’ stato difficile caratterizzarli? 

Con Manfredi, ricco e nobile, ho voluto tratteggiare il profilo di un giovane non ancora corrotto dal potere e dal denaro, reso più accorto e sensibile - rispetto alla media degli uomini del suo tempo e del suo ceto - da alcune pietre d'inciampo piovute all'improvviso sul suo cammino costellato di privilegi. Manfredi insegue una felicità incompatibile con le circostanze e ne subisce suo malgrado le conseguenze, oscillando tra la voglia di rompere gli schemi, abbandonandosi ai suoi sentimenti per Giulia, e la necessità di conservare l'approvazione sociale di quelli del suo rango. In Nicodemo, dalla natura sottilmente inquieta e dissonante, l'assenza di scrupolo e certe vistose licenze morali sono spesso bilanciate da ragionamenti non banali, che invitano a frequentare più la precarietà del dubbio che le certezze assolute. Più congeniale a una creatura come Giulia, non ne ha però né la stessa ruvida fermezza, né lo stesso nero coraggio. E nemmeno sa andare - come lei - fino al fondo delle cose e di se stesso. Mi piacciono entrambi, Manfredi e Nicodemo, perché le loro personalità offrono sfaccettature diverse, capaci di suscitare riflessioni differenti, ma ugualmente interessanti. Nessuna difficoltà nel caratterizzarli. Era come se stessero aspettando di uscire dalla mia penna. Così come è stato con Giulia, che mi pareva di conoscere da sempre. 


5) Credi che il lettore possa identificarsi con i protagonisti, almeno in parte? E’
importante, per te, che esista questa sorta di empatia tra il lettore e il personaggio? 

Foto tratta dal sito di Scrittura & Scritture
Identificarsi con Nicodemo? Chissà! Di sicuro ci sono religiosi disposti a interpretare a modo loro la fede e gli obblighi che gli derivano dall'abito talare. Immagino che tra questi qualcuno, nel segreto della propria coscienza, potrebbe perfettamente ritrovarsi nelle ambiguità del frate siciliano. Identificazione ancora più facile per il personaggio di Manfredi: la contrapposizione su ciò che lui brama e ciò che gli conviene non conosce limiti geografici né temporali. Per Giulia, farei un discorso a parte. Troppo sui generis per immedesimarsi a cuor leggero in lei. Ciò che posso testimoniare è che ispira molta simpatia (tra le donne). Lo riscontro attraverso l'entusiasmo dimostrato da giovani e meno giovani ogni volta che presento "Un sorso di arsenico"... 


6) Cos’è per te la libertà? 

Poter esprimere le mie opinioni e vivere secondo i miei principi senza il timore di venire censurata, perseguitata, repressa.


7) Come ti sei documentata per ricreare il personaggio di Giulia e gli ambienti del tempo?

Come per qualsiasi altro romanzo storico o a sfondo storico, ho frequentato biblioteche, acquistato e consultato vari testi... 


8) Sia la tua protagonista che frate Nicodemo sono in continuo, benché precario, equilibrio tra bene e male, obbedienza e indipendenza. Io stessa non li definisco né “buoni” né “cattivi” in assoluto, nonostante le evidenti malefatte. Qual è la tua opinione in proposito? 

Li ho pensati entrambi (ma soprattutto Giulia) come personaggi difficilmente inquadrabili nelle rigide caselle del bene e del male. Le sfumature contano, anche se a volte confondono, soprattutto se si cercano definizioni certe e classificazioni "rassicuranti". 


9) C’è un consiglio che vorresti dare agli autori esordienti? 

Consigli ovvi, però mai passati di moda: leggere tanto, scrivere tutti i giorni, non innamorarsi perdutamente di tutto quello che esce dalla propria penna. La severità con se stessi aiuta a fare progressi; l'indulgenza, molto meno. 


10) Qual è il tuo rapporto con i social network? 

Saggezza e spirito pratico suggeriscono la necessità di adeguarsi ai cambiamenti, in caso contrario, si rischia di restare indietro. Con questa consapevolezza, sto timidamente tentanto di superare le resistenze verso i social network, dettate da una predilezione per la privatezza e le forme di comunicazione tradizionali (amo scrivere lettere, mi piace parlare al telefono fisso). Riconosco, tuttavia, la straordinarietà di certi "diabolici strumenti" come fb, capaci - in pochi secondi - di metterci in comunicazione con un ampio numero di persone in tutto il pianeta. Un servizio di rete sociale, dunque, che è anche una conquista sul piano democratico, poiché consente una diffusione immediata delle idee e dei fatti senza filtri e mediazioni. Per stare alla materia di comune interesse, credo che questo genere di reti sia molto utile per dare maggiore visibilità ai piccoli e ai medi editori, normalmente schiacciati dalla concorrenza dei "grandi", e di conseguenza ai loro autori, altrimenti relegati nella penombra. 


11) Un’ultima domanda un po’ più indiscreta: posso chiederti a cosa stai lavorando in questo momento? 

Sto "limando" una storia del medioevo italiano. Protagonista una donna realmente esistita. Tutto il resto...è una sorpresa.

lunedì 19 maggio 2014

Recensione: “Teresa e La Luna” di Carla Marcone

Il legame che unisce madre e figlia è indissolubile, inspiegabile. Un amore totale che, privato dei corpi in cui per natura deve dimorare, diventa un fiume pronto a rompere gli argini. Un sentimento che può, se non “incanalato”, danneggiare, pur essendo nato per il bene. Questo è il rischio corso dalla protagonista del poetico romanzo di Carla Marcone, “Teresa e la Luna”

Dove potrebbe riversarsi l’amore materno di Teresa, che ha perso la sua bambina, provando il dolore e l’angoscia di sopravviverle? Non è forse contro natura dover continuare a respirare, quando il frutto della propria esistenza, la testimonianza tangibile del passaggio di un essere umano in questo mondo, viene a mancare, inghiottita dalla morte? 

Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri è costretta a sopportare il lutto, ma la sua indomita sete di vita non tarda a farsi sentire. Deve dare un senso alla sofferenza e persino a se stessa. I suoi giorni non possono rimanere una sequenza di nulla che si rinnova a ogni alba. 

Questo amore che le esplode dentro, mescolato alla rabbia di quella che percepisce come un’ingiustizia, un disegno divino di cui non accetta l’imperscrutabilità, deve trovare uno sbocco.

La personalità ribelle di Teresa, il muro di fierezza che si scontra con i rigidi monumenti alle convenzioni, si insinua nella voragine di vuoto lasciata da sua figlia e trova, tramutando il dolore in soccorso, uno sfogo nell’aiutare gli altri

La piaga del tormento viene, così, lenita, ma l’abnegazione di Teresa non è dettata da un bisogno egoistico. Lei è una vera filantropa; il desiderio di essere utile, di condurre una battaglia per la sua gente è evidente. Il lutto le dà, paradossalmente, la grinta per andare avanti. La rinascita di Teresa sta proprio nella morte di sua figlia Lina; una resurrezione dal dolore, difficile, tormentata, comunque incompleta, perché non le restituirà il sangue del suo sangue. 

La vita, a volte, mette gli esseri umani di fronte a barriere così alte da sembrare insormontabili. Pare che oltre non si possa andare. Rinunciare vuol dire, però, smettere di vivere e spegnersi poco a poco. Il fuoco di passione che arde in Teresa non le consente di arrendersi, ogni respiro è una spinta a resistere e a ricordare Lina attraverso il sostegno offerto ai più deboli, a quelli che sopravvivono ai margini della società.

All’inizio del romanzo l’eroina (proprio così la definirei) dice una grande verità, attualissima ma, per l’epoca, poco ortodossa: “Napoli è un paese ove occorre che qualcuno abbia un poco più di coraggio affinché gli altri dopo lo imitino”. Mi permetto di sostituire a “Napoli” un altro nome che, ogni tanto, “dimentichiamo” di amare. Italia. Questa frase è l’essenza di Teresa, ma anche della splendida città di Napoli. E dell’Italia di ieri e oggi. 

Sì, perché “Teresa e la Luna” è un romanzo dedicato a un grande personaggio napoletano ma, in realtà, anche alla nostra nazione che deve trovare il coraggio di risollevarsi. Teresa personifica Napoli, ma anche la stessa Italia. 

Teresa è indomita, per questo incompresa, nobile, intelligente, geniale nel precorrere i tempi e saper guardare oltre i cenci che avvolgono a malapena gli “scugnizzi”. 

La sofferenza fa affiorare una spiccata sensibilità già latente in lei; non le consente di chiudersi, bensì di aprirsi al mondo, perché i caratteri indomabili non riescono a fossilizzare lo strazio, consentendogli di scavare fino a depositarsi nell’anima, ma lo “usano” per diventare più forti. Non è facile, ci vuole tempo e volontà, la stessa che ha Teresa quando salva chi ha avuto la sfortuna di nascere in una situazione di svantaggio.

La concretizzazione di questo processo è nella costruzione di un ospedale intitolato proprio a sua figlia. Da notare che di un personaggio come Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri molti si sono dimenticati. 

Capita, talvolta, che la memoria faccia difetto ad alcuni italiani, per fortuna non a tutti: l’amore, la passione, la poesia con cui Carla Marcone racconta la storia, tra la biografia e il romanzo, di una grande napoletana e italiana è la prova della capacità di molti di ricordare, far tornare a vivere e presentare, perché no, come modelli, personaggi del passato i quali ci hanno lasciato un’eredità emotiva e umana che spesso rimane nell’ombra. 

Perché non viene dato sufficiente spazio a donne come Teresa? Per quale motivo Napoli viene rammentata per le sue mancanze ma quasi mai per i suoi pregi? Perché della storia di questa città si continua, inconsapevolmente (?), a narrare solo alcuni fatti e in una ben determinata ottica? (Lo stesso discorso vale per l'Italia di oggi).

I problemi ci sono, sono tanti e non si possono, né si devono nascondere. Eppure quanti conoscono davvero il patrimonio letterario, scientifico, musicale e artistico che Napoli ha donato al mondo?

All’immagine odierna di questa città mancano dei tasselli. Teresa è uno di questi (insieme gli scambi culturali tra Napoli e la sponda opposta del Mediterraneo nell’Ottocento, lo sviluppo del teatro tra la stessa Napoli e l’Egitto, la massoneria... I temi poco esplorati da un punto di vista divulgativo sono molteplici e riguardano proprio la Napoli di Teresa). 

Grazie a Carla Marcone per la poesia delicata che mette in tutto ciò che scrive, per aver fatto affiorare la sua città in mezzo ai “sentito dire”, per aver dato una diversa prospettiva, umana e culturale di un luogo e un’epoca, per aver rotto lo specchio che rimandava a un’unica immagine della città partenopea e cercato le sfumature che solo una figlia innamorata della Napoli che l’ha generata può descrivere. 


Il Libro

Titolo: Teresa e La Luna 

Autore: Carla Marcone 

Casa editrice: Scrittura & Scritture 

Pagine: 186 

Anno di Pubblicazione: 2008 

Prezzo: 11,50 euro 






Trama

Teresa Filangieri è nata da una nobile e influente famiglia. Sposa del duca Ravaschieri, perde la sua unica figlia Lina appena adolescente. Da quel momento in ogni bambino cencioso, solo, ammalato e affamato di una Napoli alle soglie dell’Unità d’Italia rivede sua figlia, e comincia a dedicare tutto il suo tempo a loro, adoperandosi affinché abbiano una sorte migliore. Lottando contro mille ostacoli, trova la forza e il coraggio di far costruire, impegnando la sua dote, il primo ospedale pediatrico a Napoli. Ruotano intorno a lei, in un ritmo narrativo vorticoso e avvincente, personaggi reali e di fantasia: il guappo Michele, al secolo ’o Belzebù, il servo Raffaele, la prostituta Maddalena, il gobbo Casanova e Paolina Craver. Una trama dal ritmo cinematografico per il nuovo libro di Carla Marcone che, dopo il successo di Fiori di carta, ci regala lo splendido ritratto di una donna complessa e passionaria sullo sfondo di un periodo storico di grandi superstizioni e incertezze. 


L’Autrice 

Foto tratta dal sito di "Scrittura & Scritture".
Carla Marcone è nata a Napoli in una calda notte di luglio, mentre nel mondo echeggiava la rivolta e le streghe tornavano bruciando il reggiseno in piazza. Crescere in una famiglia di stampo patriarcale, dove, però, erano le donne a portare i pantaloni, ha sviluppato in lei un estremo senso di ribellione contro ogni sopruso, contro ogni ingiustizia. I suoi personaggi, di cui l’autrice racconta in uno stile fatto spesso di parole sussurrate che nascondono segreti, affrontano nella maggior parte dei casi il proprio destino spinti dalla molla del “adessovifacciovedereiodicosasonocapace”, talvolta uscendone vittoriosi, altre delusi e sconfitti; ma è la vita, sì la vita, quella vera, quella della gente comune che Carla Marcone trasporta, riveduta e corretta dalla fantasia, nei suoi romanzi. Ha pubblicato il racconto Favola d’Aprile (2004), e i romanzi Fiori di carta (Scrittura&Scritture 2005) e Teresa e la luna (Scrittura&Scritture, 2008). 
(Tratto dal sito di Scrittura & Scritture). 


Per saperne di più 

La pagina dedicata al libro sul sito della casa editrice Scrittura & Scritture.

lunedì 12 maggio 2014

Recensione: “Un sorso di arsenico” di Adriana Assini

“Se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo”. Così cantava Fabrizio De André nella sua famosa canzone “Città Vecchia”. In apparenza questi versi sono perfetti per descrivere Giulia Tofana, la volitiva e audace protagonista del romanzo “Un sorso di arsenico” della bravissima Adriana Assini

In realtà le parole suddette possono risultare riduttive per un personaggio del genere; Giulia è una prostituta e avvelenatrice nella Palermo del Seicento. Nessuno resiste alla sua bellezza e, a dirla tutta, neppure al suo veleno fatale. Una strega dalle fattezze candide e pure come quelle di un giglio. In parte, perché neppure questa definizione è del tutto corretta. Giulia è, prima di tutto, una donna libera e, come tale, non etichettabile. 

Non una femminista ante litteram, perché già questo vorrebbe dire costringere il personaggio in una categoria non corrispondente né dal punto di vista storico, né da quello sociale. Non un’eroina, in quanto la sua mancanza di scrupoli è evidente e le sue azioni, in genere, quando non palesemente negative hanno solo una patina di vaga bontà. 

Allora un’antieroina? Neanche, perché la figura di donna indipendente si scontra col tempo in cui deve vivere, la costringe a sacrifici d’amore, a desiderare, tradendo la sua vera natura, una rispettabilità che il mondo le nega e che perfino lei non vuole. O, almeno, vorrebbe modellare tale rispettabilità su se stessa, in parte inconsapevole che la linfa di cui si nutre una certa società per esistere, inevitabilmente, cristallizza entro limiti circoscritti tutti quegli elementi (status, prestigio e così via) che ne rappresentano l’essenza. 

Giulia, direi, è una donna che ha imparato a sopravvivere. Non importa se in modo lecito o illecito. La sua non è una ribellione del tutto cosciente, ma istinto di sopravvivenza che, comunque, non la giustifica né la assolve. E’ proprio qui il punto: Giulia Tofana non è un personaggio con cui ci si può identificare del tutto. Sfugge perfino al lettore. Forse è una “vittima di questo mondo”, ma col tempo ha imparato a trarre insegnamenti da ogni tipo di svantaggio, fino a vivere l’ambivalenza di ruoli, vittima/carnefice. 

La sua libertà ha un costo altissimo, non conosce limiti e proprio questa, insieme al bisogno di sopravvivere, la porta a fuggire da Palermo, ad abbandonare il suo grande amore, Manfredi, per ritrovarsi nella Roma della Controriforma e tentare di ricostruirsi una vita. 

Giulia non sa, o forse non vuole accettare il fatto che il passato è parte dell’essere umano e che il veleno, oggetto malefico della sua “arte” è il simbolo dei giorni che lei crede (e spera) ormai lontani per sempre. Il veleno è, infatti, l’emblema della sua natura: in certi casi, se assunto in piccole dosi può curare o proteggere da altre sostanze dannose (questo in genere, rimanendo a un livello molto superficiale). 

Se assunto in dosi massicce o comunque errate può uccidere, spesso con dolore. Così è Giulia Tofana, la quale mostra un’apparenza di se stessa pronta a redimersi, piccole gocce della sua personalità che affiorano davanti agli occhi del lettore, quasi rassicurandolo, ma la sostanza intera del suo essere non è fatta solo di quelle gocce, è più torbida, intensa, da “usare con cautela” anzi, da “leggere e comprendere” come se si stessero studiando le proprietà di un medicinale pericoloso: la donna fiera e indipendente, in questo caso anche avvelenatrice. 

Le donne, in passato, erano considerate “veleno” pur senza essere giudicate streghe e, ampliando il discorso, qualcuno, ahimè, lo pensa anche oggi e senza scomodare la (per fortuna) tramontata Inquisizione. 

Dunque Giulia è un personaggio positivo o negativo? La sua libertà è buona o cattiva? Queste domande non possono avere una risposta assoluta ed è proprio questo il bello. La Assini, con una scrittura raffinata e semplice (termine che, ribadisco, non ha mai nulla a che vedere con “facile”), forgia con maestria l’animo di una donna inquieta, è vero, ma anche sfumata e complessa come siamo tutti nella nostra umana natura, al di là del mestiere che facciamo per vivere o degli scrupoli che condizionano o meno i nostri giorni. In realtà le domande sulla presunta bontà o malvagità della protagonista non hanno motivo di esistere. 

O meglio, non dovrebbero essere poste in modo così semplicistico. Non si tratta di assolvere o condannare, ma di spingersi più in là “nell’attraversare” questa figura che non chiede comprensione, né giudizio, bensì “ascolto”. 

In ciò sta la bellezza di questo personaggio, nell’incessante oscillazione tra bene e male che, talvolta, si fondono persino, spiazzando con un finale a sorpresa sostenuto da una narrazione compatta, vivace, diretta, di alto livello che non si perde in digressioni ma punta all’azione. Giulia Tofana si guarda nello specchio delle contraddizioni in cui vive e non può vedervi riflesso il suo amato, nobile e ricco Manfredi, così lontano da lei, bello e coraggioso ma pur sempre figlio del suo tempo, in cui le disparità sociali contano e l’amore si può confondere con la passione pur rimanendo un sentimento vero, reale e puro. Giulia può vedere, in quello specchio, solo il frate Nicodemo

Un personaggio, questo, che amo proprio per il suo modo di (soprav)vivere in precario equilibrio tra convinzioni personali e dogmi, cinismo e religione, fede e ragione, realtà e utopia. E’ una sorta di camaleonte, ha imparato a minare il “sistema” religioso dall’interno, a insinuare la sua personalità fra le crepe delle statue dei santi, tra gli spazi vuoti che neppure un Dio adorato, ma lontano dalle miserie del mondo, può colmare. 

Giulia è la personificazione di una Palermo libera, caotica ma, nello stesso tempo, anche di una Roma stupenda, di impareggiabile bellezza, ma imprigionata nella gabbia dorata della Chiesa, controllata a vista da una subdola carceriera, l’Inquisizione. 

“Un sorso di arsenico” è un romanzo imperdibile, in grado di offrire molti spunti di riflessione che hanno a che vedere con l’attualità (lo sguardo alle strategia politiche dell’epoca, ad esempio). 

E’ la storia di una donna coraggiosa ma non “buona”, piena di debolezze, con l’anima più incandescente del magma che si forma tra i recessi oscuri dell’Etna, ovvero dell’io che non solo pensa il male, ma arriva a compierlo pur tendendo al bene. 


Il Libro

Titolo: Un sorso di arsenico 

Autore: Adriana Assini 

Casa editrice: Scrittura & Scritture 

Pagine: 227 

Data di Pubblicazione: 2009 

Prezzo: 11,50 euro 








Trama 

“Venere plebea scolpita in marmo pario..., Giulia Tofana fa illecito commercio della sua bellezza come del suo ingegno e mette a punto la formula di un micidiale veleno confezionato in fiaschette che “con fierezza allinea sulla cassapanca”. Ma trafficare coi veleni non è facile e quando delle fiale non ne viene fatto un uso sapiente e le morti cominciano a diventare scomode, si apre la caccia alle streghe e Giulia lascia la natia Palermo, dominata dai viceré spagnoli e dalla peste, per trasferirsi nella Roma barocca di papa Urbano VIII, dove alla maestosità delle feste si alterna la ferocia delle esecuzioni in piazza. All'ombra del cupolone, la bella siciliana veste alla moda, impara a scrivere e con l'aiuto di fra Nicodemo, l'appoggio dello speziale Aniceto, la connivenza di nobili e porporati, incrementa i suoi traffici di morte. Divisa tra l'amore di due uomini, sempre in bilico tra la voglia di obbedire soltanto ai suoi istinti e il desiderio di diventare una rispettabile dama, inseguirà a lungo e senza remore i suoi sogni, sfidando le leggi della Santa Inquisizione con un insolito epilogo. 


 L’Autrice

Foto tratta dal sito: http://ilibridimorfeo.blogspot.it/
Alla domanda “la verità è in un sogno solo o in molti sogni?" Adriana Assini risponde “in molti sogni”, che alla fine ne fanno uno solo: aver vissuto intensamente il proprio tempo, in un mondo a colori, dove contino i sentimenti, si insegua il sapere, non manchino i viaggi. La scrittura: solido veliero che la porta dove vuole, attraverso mari e secoli, per raccontare ad altri tante vecchie storie osservate con occhi nuovi. Di conoscere il giorno esatto in cui Cesare conquistò la Gallia, ad Adriana Assini importa poco, le interessa invece sapere, per esempio, chi e quando ha trapiantato gli esotici tulipani nella nordica Olanda. A caccia di odori e sapori lontani, sulla scia di passioni perdute, gesta dimenticate, vite fuori dal comune, Adriana Assini guarda al passato per capire meglio il presente e con quel che vede ci costruisce un romanzo, una piccola finestra aperta sul mondo di ieri. Dipinge. Soltanto acquarelli. E anche quando scrive si ha l’impressione che dalla sua penna, oltre alle parole, escano le ocre rosse, gli azzurri oltremare, i luccicanti vermigli in cui intinge i suoi pennelli. 
(Tratto dal sito di “Scrittura & Scritture”) 


Per saperne di più 

La pagina del sito della casa editrice “Scrittura & Scritture” dedicata al romanzo.

Il sito web di Adriana Assini.